Il contesto nelle cure primarie
Nella premessa del bel libro di Martin Winckler “È grave dottore?” (1) si legge questo breve passaggio: “…ero un giovane medico, stavo finendo gli studi e di lì a poco avrei discusso la tesi di specializzazione. Facevo pratica da un medico generico. Entra una paziente, si siede e dice: “Sono venuta qui perché è tre mesi che non vedo niente”. Sgrano gli occhi: questa donna di appena trent’anni non sembra affatto cieca. Visibilmente teso, il medico le chiede: “Ah, e ha intenzione di tenerlo?”. Questa volta è la donna a sgranare gli occhi. Se la frase pronunciata dalla paziente mi aveva sorpreso, per il mio superiore era invece perfettamente chiara: era un modo di dire locale che significava semplicemente che non aveva le mestruazioni da tre mesi e che forse era incinta.”
E anche ne “Il medico e lo stregone”(2), un film di Mario Monicelli del 1957 si assiste allo scontro feroce del giovane medico interpretato da Marcello Mastroianni, intenzionato ad aprire il suo ambulatorio in uno sperduto paesino del Sud Italia e animato da razionalismo e modernità professionale, con il guaritore De Sica tutto dedito a praticare una “medicina” magica ed esoterica approfittando della arretratezza culturale dei compaesani.
Il giovane medico tenta di promuovere la vaccinazione antitifica, ma nessuno in paese ne vuole sapere, e la diffidenza nei suoi confronti cresce parallelamente alle lodi sperticate sulle presunte doti di guaritore del furbo antagonista. Solo nel finale un po’ amaro si assisterà ad una parziale vittoria della medicina “scientifica”, ma si capisce che forse si tratta di un successo solo momentaneo.
Entrambi questi giovani medici non hanno ancora capito quale sia l’importanza del contesto in cui opera il medico di medicina generale e, ancor più, non hanno afferrato il senso profondo del temine: non una mera cornice magari macchiettistica che fa da corollario ai casi clinici che il medico di medicina generale affronta quotidianamente, ma un vero e proprio fatto costituente essenziale della diagnosi clinica e, in ultima analisi, persino della valutazione prognostica che ne deriva.
D’altra parte la stessa definizione europea 2011 WONCA della medicina generale/medicina di famiglia fa spesso riferimento al tema del contesto (3).
La frase dove il termine “contesto” viene forse più appropriatamente indicata è riportata nel paragrafo dedicato alla specialità della medicina generale/medicina di famiglia ed è la seguente: “…Essi (i mmg) si prendono cura degli individui nel contesto della loro famiglia, della loro comunità e della loro cultura, sempre nel rispetto dell’autonomia dei loro pazienti. Riconoscono di avere una responsabilità professionale anche verso la loro comunità.”
E anche un documento recente del Royal College of Australian Generale Practice (4), intitolato “Philosopy and foundation of generale practice” istruisce appropriatamente i Genaral Practitioners australiani sulla opportunità di considerare, tra l’ altro, di: “rispondere ai bisogni della comunità; adattarsi al contesto politico; mediare tra medicina e comunità”. Tutto questo dopo la formulazione di una frase assai significativa: “io incontro i pazienti dove essi vivono e tengo in considerazione la nostra comunità quando pianifico l’assistenza”.
È significativo, in entrambi i documenti, il continuo riferimento ad una medicina che si occupa specificamente di individui ma che li considera come membri e parti integranti del loro ambiente sociale. Sembra quasi scontato che non si possano scindere i due aspetti e campi di osservazione del medico di medicina generale, ma bisogna ricordare che il tipico modo di osservare e comprendere il contesto “bio psico sociale” è un fatto relativamente recente Solo nel 1977, infatti, lo psichiatra statunitense George L. Engel (5) pubblica un celebre articolo sulla prestigiosa rivista “Science” nel quale invita per la prima volta il mondo medico ad occuparsi dei pazienti secondo tre assi dimensionali non scollegate tra loro ma, anzi, intimamente sovrapposte. Il punto di osservazione, suggerisce Engel, deve tenere conto degli aspetti biologici, di quelli psicologici e di quelli sociali contemporaneamente. Un articolo che ha fatto storia nel mondo medico, fino ad allora arroccato a convinzioni molto rigide circa le aree di competenze professionale.
Sembra quasi ovvio che il mmg operi in un contesto territoriale, conoscendone tutte le più piccole sfaccettature sociali, economiche, epidemiologiche, antropologiche e così via. Tuttavia questa conoscenza non è così scontata ed automaticamente acquisita, bensì è la risultante di anni di lavoro, di studio e di osservazione della propria comunità di assistiti. Diversamente da quanto avviene nell’ambito professionale ospedaliero, dove il paziente viene spogliato per definizione delle proprie caratteristiche di individuo per vestire i panni specifici di “paziente”, nell’ambito della medicina generale gli assistiti (prima che pazienti) mantengono inalterate le proprie caratteristiche specifiche individuali, che diventano parte integrante della tipica focalizzazione clinica del medico di base.
Le caratteristiche che costituiscono l’intera personalità del paziente contribuiscono a definirlo meglio nella sua dinamica di malato o di persona sana ma che, in qualche modo, resta pienamente inserita in un percorso di assistenza o di cura. Saranno pertanto importanti, al pari e forse più di sintomi e segni clinici peculiari di una determinata patologia, particolarità come l’ appartenenza a fasce sociali o reddituali, la scolarità, l’atteggiamento psicologico, la comunicazione, la storia di persona sana o malata, le relazioni con i familiari, gli amici, i datori di lavoro e così via. La conoscenza approfondita di tutti questi elementi non è un fatto accessorio od occasionale per il medico di medicina generale, ma una vera e propria specificità professionale, che deve essere necessariamente acquisita sul campo con l’esperienza, ma che merita di essere inserita anche nei programmi di insegnamento della medicina generale. In questo senso è importante considerare che gli strumenti di osservazione e di valutazione del contesto devono essere scientifici e non superficiali od occasionali e lasciati magari alla sensibilità più o meno sviluppata del singolo medico di medicina generale. Si consideri solo il fatto che gran parte della medicina narrativa (6) descrive e fa propri importanti elementi di contesto che non solo incorniciano specificamente i racconti delle diverse storie cliniche ma che divengono, non di rado, determinanti rilevantissimi del processo diagnostico e terapeutico che ne consegue.
Scriveva lo scomparso Edoardo Parma (7) che “…forse il possibile rinnovamento dell’idea del medico, come già Jaspers rilevava, ha oggi il suo luogo privilegiato nel medico generico il quale, senza l’autorità d una clinica o dell’istituzione, ha a che fare con il malato così come egli realmente vive. Egli ha il senso della situazione, non permette che la visita si traduca in una serie di risultati di laboratorio, tiene presente il corso della vita ed è in grado di plasmare il rapporto del malato con la sua malattia…”.
Queste ultime parole sono di particolare efficacia, poiché “plasmare il rapporto del malato con la sua malattia” significa, in concreto, promuovere l’adesione terapeutica e la compliance, ridurre le conflittualità interpersonali, ottimizzare gli obiettivi di salute. Collocare correttamente il paziente nel suo contesto significa, in altri termini, rinsaldare continuamente quel patto di solidarietà clinico e giuridico tra medico e paziente che è alla base della relazione tra due individui: uno esperto di malattia, l’altro esperto di patologia. Entrambi attori principali nel contesto di cura.