Rubrica sui farmaci: statine e danno renale

Pubblicato 7 anni fa  -  - 7.000000a 5037


Inizia una nuova rivista indirizzata ai medici di medicina generale e quindi tarata per rispondere ai loro bisogno d’informazione, relativamente a problematiche che riguardano la terapia. Malgrado l’abbondanza di informazioni disponibili in rete, la possibilità di un aggiornamento sui farmaci attendibile, non promozionale, è relativamente limitata e, nella maggioranza dei casi, non rispondente ai reali bisogni della medicina. Per questo motivo si è deciso di includere con regolarità nella nuova rivista una rubrica dedicata ai FARMACI, che presenti eventuali innovazioni terapeutiche, in particolare se a vantaggio della medicina territoriale, e riprenda dalla letteratura novità su aspetti farmacologici di notevole interesse per la medicina generale.

In questo primo numero, la rubrica propone un aggiornamento della letteratura con uno studio osservazionale, di coorte, relativo a problemi di sicurezza con una classe farmacologica di ampio utilizzo. Le statine. Come spesso capita con gli studi osservazionali, il rischio di fattori confondenti non presi in considerazione e l’impossibilità di riconoscere un nesso di causalità risultano limitanti. Tuttavia, rispetto agli studi clinici randomizzati e controllati (RCT) appaiono molto più adatti a valutare la sicurezza dei trattamenti, in particolare ad evidenziare eventi avversi che compaiono dopo un uso prolungato oppure molto tempo dopo l’assunzione di un farmaco, condizioni che rendono poco idonei sia gli RCT, di solito di breve durata e di scarsa numerosità, sia la segnalazione spontanea quale strumento per rilevare tali effetti.

Gli studi osservazionali sono necessari per conoscere il profilo di sicurezza a lungo termine dei farmaci utilizzati nella pratica reale e questi due studi apportano dati importanti per la valutazione del rischio/beneficio, in particolare nella prevenzione primaria con statine. Oltre al rischio già conosciuto di comparsa di diabete dopo trattamento prolungato con tali farmaci, sarà opportuno tenere presente anche il potenziale danno renale.

Senza voler trarre conclusioni affrettate a quanto sopra riportato, si possono aggiungere alcune considerazioni. Innanzitutto i risultati dei due studi necessitano di ulteriori indagini per confermare o confutare le correlazioni osservate: l’impiego diffuso delle due classi di farmaci e la rilevanza dei rischi riscontrati sono troppo importanti per non tenerli in dovuta considerazione.

In secondo luogo, si suggeriscono maggiori investimenti in studi osservazionali finalizzati alla rilevazione di effetti avversi a lungo termine, avendo ben presente che attualmente i dati della real world evidence consentono lo svolgimento di tali indagini.

Infine, è doveroso sottolineare che sempre più di frequente giungono segnalazioni di effetti avversi potenzialmente gravi appena un farmaco, o più farmaci di una stessa classe, perdono la tutela brevettuale. È questo il caso delle statine (ma non è l’unico). Una recentissima revisione sistematica1, ha valutato il ritiro dal commercio per eventi avversi di 462 farmaci commercializzati dall’anno 53 al 2013. Concretando l’analisi per quei farmaci commercializzati dopo gli anni 60, il tempo medio trascorso tra la loro immissione sul mercato e la prima segnalazione di effetti indesiderati era di 4 anni e altri 3 anni dalla segnalazione iniziale al loro ritiro definitivo dal commercio. In media, per i farmaci entrati in commercio dopo il 1960, il tempo trascorso tra l’entrata in commercio e il loro ritiro per effetti avversi era di 10 anni (un tempo comunque prossimo alla durata brevettuale). Da parte degli autori di questa revisione è infine rimarcato che la sospensione di prodotti dopo segnalazioni di effetti avversi gravi, tali da indurre al ritiro, non è affatto migliorata negli ultimi 60 anni in modo evidente.

1. IJ Onakpoya; CJ Henegahn; JK Aronson: Post-marketing withdrawal of 462 medicinal products because of adverse drug reactions: a systematic review of the world literature. BMC Medicine 2016; 14:10.

DALLA LETTERATURA: STATINE E DANNO RENALE1

Più patologie renali in uno studio di coorte con l’impiego a lungo termine di statine

Pochi studi hanno valutato gli effetti a lungo termine della terapia con statine sul rene. È stata condotta negli USA un’indagine per determinare il rischio di patologia renale, acuta o cronica, associata all’impiego di statine dopo un prolungato periodo di trattamento. Lo studio di cui nel seguito si illustrano i risultati è uno studio di coorte di ampie dimensioni, durato 8 anni, retrospettivo, con follow-up mediano di 6,4 anni, attuato secondo la tecnica dell’appaiamento (case-control matching), è stato recentemente pubblicato su American Journal of Cardiology. Il dato più inquietante è che i trattati con statine presentavano, nel lungo periodo, un aumentato rischio di patologia renale del 30-36% superiore rispetto ai non trattati.

Lo studio

Lo studio era diviso in due periodi, il primo da ottobre 2003 a settembre 2005, aveva lo scopo di descrivere le caratteristiche basali della coorte. Il periodo di follow-up (da ottobre 2005 a marzo 2012) permetteva di descrivere gli outcome. A partire di una coorte di 43.438 soggetti che rientravano nei criteri di inclusione, sono state definite due coorti: una coorte “complessiva appaiata” in base a 82 requisiti di base predefiniti – tra essi: demografici, comorbilità, uso di farmaci, ricorso a servizi sanitari – a partire della quale, sono stati individuati 6.342 soggetti trattati con statine, abbinati a 6.342 non trattati. Parallelamente è stata definita una coorte “sana”. Questa coorte includeva pazienti che usavano la statina in prevenzione primaria e non presentavano severe co-morbilità (individui privi di diabete, malattia renale cronica, malattie cardiovascolari e altre condizioni che avrebbero potuto limitare l’aspettativa di vita e l’attività fisica). Con questi criteri la coorte sana includeva 3.351 trattati con statine e 3.351 soggetti non trattati con statine. L’analisi primaria ha valutato l’outcome primario nelle due coorti (vedi tabella 1)

I risultati

La statina più comunemente prescritta era la simvastatina (73,5%), seguita da atorvastatina (17,4%), pravastatina (7%), rosuvastatina (1,7%). Al 38% dei soggetti le statine erano state prescritte ad alto dosaggio. I trattati hanno assunto il farmaco prescritto mediamente per 4,6 anni. I pazienti di questi due gruppi presentavano un’età media di 56 anni e per il 45% erano donne.

Come si può osservare dalla Tabella 1, tra gli utilizzatori complessivi di statine aumenta in modo significativo il rischio di differenti tipi di malattie renali.

Nella coorte di soggetti sani (che usavano le statine in prevenzione primaria), i trattati hanno presentato un rischio di malattia renale cronica significativamente più elevato rispetto ai non trattati, anche se, dopo aggiustamento di tale indicatore per patologie (come l’ipertensione) insorte nel corso del follow-up, la correlazione è apparsa meno stringente, suggerendo che tali fattori sono implicati nello sviluppo della malattia renale.

Conclusioni

Secondo gli autori dello studio, è del tutto dimostrato che le statine riducono il rischio di patologie e di morte cardiovascolari, ma i dati attualmente disponibili non consentono di conoscere in modo esaustivo eventuali effetti negativi del trattamento a lungo termine con tali farmaci. Si sa che le statine accrescono l’incidenza di diabete e, forse ora, di malattie renali, entrambe patologie che, paradossalmente, aumentano nel tempo la morbilità e la mortalità. E’ pertanto necessario disporre di ulteriori dati, soprattutto derivati dal mondo della medicina reale, che apportino conoscenze più ampie sull’efficacia delle statine nella prevenzione della morbilità totale e della mortalità per ogni causa; e, in particolare, che focalizzino l’attenzione su tali outcome di lungo periodo in ambito di prevenzione primaria. Le nuove linee guida di varie società scientifiche tendono infatti ad incrementare l’impiego di statine da parte di centinaia di milioni di individui sani, anche se, prima di far ciò, si dovrebbe avere la certezza di non provocare danni.

1. Acharya T, Huang J, Tringali S, et al. Statin use and the risk of kidney disease with long term follow-up (8.4-years study). Am J Cardiol. 2016;117(4):647-55.

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