Overscreening o prevenzione a misura d’uomo?
Miguel Pizzanelli
Medico, Specialista in medicina di famiglia e di comunità
Coordinatore dell’Unità di assistenza sanitaria rurale di Florida, Uruguay
Dipartimento di Medicina di Famiglia e di Comunità della facoltà di medicina della UDELAR
Uruguay
Coordinatore del gruppo di interesse in prevenzione quaternaria e sovramedicalizzazione WONCA
Traduzione libera dell’articolo originale: https://rbmfc.org.br/rbmfc/article/view/1068
A cura di: Luca Bortolussi, Medico di Medicina Generale, Treviso, Italia; Serena Angeli, Medico di Medicina Generale, Trento, Italia; Giulia Cusmano, Medico di Medicina Generale in Formazione; Andrea Maurizzi, Medico di Medicina Generale in Formazione, Bologna, Italia; Alessandro Mereu, Medico di Medicina Generale, Sesto Fiorentino (FI), Italia; Jacopo Demurtas, Medico di Medicina Generale, Grosseto, Italia.
I programmi di screening sono attività incluse nella prevenzione secondaria e si applicano in forma estesa e sistematica alla popolazione sana asintomatica. Il loro obiettivo è quello di ridurre la morbilità e soprattutto la mortalità per una certa patologia mediante l’applicazione di un qualche tipo di intervento allo stadio pre-sintomatico, in un’ottica di diminuzione del rischio di sviluppo della patologia stessa (1). È importante distinguere tra i concetti di screening e di diagnosi precoce. Lo screening, come si è detto, implica un intervento esteso, sistematico, su una popolazione a rischio. Per diagnosi precoce si intende un’azione individualizzata, centrata sulla persona. Perciò la diagnosi precoce ha lo scopo di rilevare un problema di salute in una tappa o in una fase iniziale e offrire migliori possibilità di trattamento, cure e sopravvivenza. Una particolare modalità di screening è quello di tipo opportunistico. Questo avviene quando il professionista della salute sfrutta l’occasione di consulto dell’utente per un altro motivo cogliendo l’opportunità per ricercare una condizione o un fattore di rischio (2).
Le controversie di tipo etico rispetto ai molti programmi di screening e agli eccessi negli screening ruotano intorno a varie premesse fondamentali. In questo articolo si discutono solo tre di queste premesse.
In primo luogo, un programma massivo di screening per essere giustificato deve assicurare che l’intervento proposto porti maggiori benefici che danni. Poiché deve essere applicato a persone sane, ed essendo l’iniziativa a carico del sistema sanitario e non dell’utente, si dovrebbe avere la certezza rispetto alle garanzie dei benefici che questo offre rispetto ai danni che può provocare.
Il secondo aspetto è centrato sull’equità. Questo argomento deve essere preso particolarmente in considerazione, quando si analizza la situazione in paesi emergenti, dato che i programmi di screening di popolazione o quelli opportunistici possono implicare un consumo ed una allocazione di risorse, mai infinite, interferenti lo svolgimento delle politiche sanitarie in aree prioritarie della sanità pubblica.
L’ultimo aspetto riguarda il ruolo dei professionisti della salute nella comunicazione con gli utenti. Un risultato positivo in uno screening si ottiene solamente classificando un individuo in un gruppo a “probabile maggior rischio”. Devono essere considerate altre variabili come sensibilità e specificità del test, le conseguenze di un risultato falso positivo o negativo, e le possibili implicazioni quando si comunicano i risultati di popolazione dei programmi di screening (3). La comunicazione effettiva, il vincolo nel rapporto duale medico-paziente, le cure incentrate sulla persona, il prendere decisioni condivise, sono strumenti chiave nella dimensione comunicativa per raggiungere risultati e dialogare su questi concetti complessi in modo individualizzato ed assertivo. Questo articolo porta delle considerazioni sugli eccessi negli screening, per i quali si comincia a usare la definizione di overscreening.
DEFINIZIONE
Dato l’ampio uso che si fa del termine screening nel linguaggio medico e della salute, è stato analizzato nel suo significato semantico per cercare una definizione accettabile. Questo termine inglese è il gerundio del verbo to screen. Tra le traduzioni possibili di questo verbo, che si applicano al nostro particolare contesto, ci sono le seguenti accezioni (4):
· Setacciare, passare attraverso un filtro; (suspects etc) investigare; (select) selezionare, passare a setaccio. Azione di filtrare o setacciare.
· (Med) Fare un’esplorazione (testuale dal dizionario).
Pertanto, to screen si riferisce ad un processo che permette di selezionare o identificare un individuo appartenente ad una popolazione, secondo alcuni criteri prestabiliti.
La prima volta che è stata utilizzata la parola overscreening, con il significato di screening eccessivo, fu nel 1989 in un lavoro di Petr Scrabanek nella quale si promuoveva il dibattito razionale sull’uso delle mammografie come filtro per le potenziali diagnosi di neoplasia della mammella (5). Successivamente, nel 1992, è stato utilizzato in una pubblicazione sullo screening del cancro del collo dell’utero indicizzata su PUBMED (6). In ogni caso il termine overscreening non dispone di etichetta MeSH in questo database (7). Si propone la seguente definizione di overscreening, con il significato di filtro in eccesso:
· Overscreening definisce quelle situazioni nelle quali si impiega un metodo di screening in modo eccessivo, abusivo o non necessario tale per cui i danni che provoca superano i benefici.
ESEMPI DI ECCESSIVO SCREENING
A causa dell’impatto sulla salute del cancro come malattia, dell’intensità con cui è ricercato e per le preoccupazioni degli utenti, dei pazienti e degli operatori sanitari, in questo articolo si fa riferimento principalmente all’eccessivo screening delle patologie oncologiche. Ci sono diverse situazioni in cui si può affrontare ciò che viene chiamato over-screening.
Screening inutile
Classificare una pratica di screening come non necessaria fa riflettere su quanto i professionisti investano in attività che non portano a un miglioramento della percezione della salute dal paziente, e non si concentrino sull’aumento della qualità della vita della popolazione. Il termine “inutile” non esprime chiaramente la capacità di indurre un potenziale danno che tali pratiche hanno. Il livello di danno può essere dedotto dalle conseguenze derivanti dai possibili risultati. Ad esempio, il numero di falsi positivi o il peso dell’”overdiagnosi” a cui le persone sono esposte. Allo stesso tempo, questi fenomeni derivati dallo screening su larga scala hanno un impatto sulle decisioni che devono essere prese con ciascun individuo, nonché sui costi materiali e non causati dagli interventi diagnostici e terapeutici che vengono attivati. Molti di questi risultati non possono essere valutati nella loro vera entità, perché hanno caratteristiche qualitative difficili da stimare. Ad esempio: qual è l’impatto individuale di essere etichettato “portatore di cancro”? (8). Un esempio di screening non necessario è quello oncologico negli anziani, che causa un’eccessiva medicalizzazione della vita (9). La patologia tumorale è una causa frequente di mortalità in questa popolazione, è evidente che più la cerchiamo, più la troveremo. Un esempio emblematico di screening non necessario è la ricerca del cancro alla prostata attraverso l’antigene specifico prostatico (PSA). Ci sono prove sufficienti per non sostenere questo screening a causa del danno che provoca e dell’impatto minimo o nullo che offre sul “salvare vite umane”. Nonostante ciò, molte istituzioni e gruppi di professionisti continuano a promuovere la sua realizzazione e non è così semplice argomentare contro di loro, anche per le organizzazioni considerabili potenti. Nel 2009 e di nuovo nel 2010, la US Preventive Services Task Force (USPSTF), ha concluso con una moderata certezza che lo screening del PSA per la neoplasia alla prostata non offriva un beneficio netto, ma queste conclusioni non sono mai state pubblicate. Infine, nell’ottobre 2010, dopo che da un articolo sul New York Times Magazine è emerso che non erano state comunicate le raccomandazioni ideate quasi due anni prima, una revisione condotta da un comitato indipendente di esperti dell’istituzione sembrava far chiarezza sulla questione (10-12). L’attuale raccomandazione del USPSTF nella sua guida del 2012 è contraria all’ esecuzione di questo test con un livello di raccomandazione di tipo D (13).
Screening senza indicazione medica e screening indotto
Vi sono istituzioni dedicate alla vendita di servizi tecnologici o enti assicurativi che offrono check-up per l’individuazione di malattie, ma questi sono offerti anche dai fornitori di servizi sanitari. Molte persone hanno accesso a questo tipo di pratica, incoraggiati dal presupposto che “più è meglio”, o perché il loro status sociale lo impone come una pratica sana. Questo tipo di “prodotti” che provengono da una medicina altamente commercializzata che promuove il consumo, porta a pratiche dannose, come la tomografia corporea totale, con il rischio legato ad esse quando eseguite senza indicazione o ripetutamente. Attualmente questo rischio viene superato con l’accesso a tecnologie che non utilizzano radiazioni ma espone gli utenti ad altre problematiche come la rilevazione di “incidentalomi”. Queste scoperte fortuite fanno spesso parte del cosiddetto effetto serbatoio (14). Ciò implica la rilevazione fortuita di “anomalie” che non sono associate a disagio, alterazioni funzionali, malattia o morte. I mass media svolgono un ruolo di primo piano nell’indurre lo screening nella popolazione. La metodologia utilizzata include la promozione della paura della malattia, la persuasione attraverso generalizzazioni che possono essere mezze verità o argomenti fallaci. Vengono utilizzati modelli di emulazione ad alto impatto mediatico. Un esempio di quest’ultimo è noto come “Effetto Angelina”(15). L’affidabilità e la qualità delle fonti di informazione utilizzate dai media sono spesso di parte e influenzate da conflitti di interesse.
Screening obbligatorio
Alcune campagne massive di screening vengono promosse e/o istituite dal servizio sanitario o tramite leggi dello stato. In altre occasioni, vengono imposte da altre istituzioni o attraverso pressioni di gruppi di potere. Queste pratiche – in quanto obbligatorie – non permettono di proteggere il principio etico di autonomia e autodeterminazione dell’individuo. Esiste una tensione dialettica quando si discute di bene comune in contrapposizione all’esercizio del diritto individuale riguardo le decisioni sul proprio corpo e sulla propria vita. Se un individuo non accetta una pratica obbligatoria, come ad esempio una vaccinazione, e questa azione ha effetti negativi sulla comunità, si tende ad agire tramite sanzioni o azioni coercitive per far rispettare la norma, per quanto questo posso essere discutibile. Se invece un individuo non accetta una pratica che non ha nessuna conseguenza sulla comunità, come spesso avviene con le condizioni croniche non trasmissibile, questo tipo di discussione non avviene (16).
Quando si deve compiere una pratica obbligatoria, ogni professionista che prende in carico l’utente è in una situazione di crisi etica in quanto deve affrontare il conflitto tra le proprie conoscenze ed esperienza e ciò che invece è il suo mandato istituzionale. Questo succede regolarmente ai medici uruguaiani ogni volta che una lavoratrice richiede di eseguire una mammografia, in conformità alla normativa imposta dalla Carta della Salute (17)
Eccesso di “screening” dovuti alla frequenza dei test
Quando si esegue un test di “screening” la probabilità di un risultato “falso positivo” dipende da diversi fattori, legati al tipo di prova, alla sua efficacia, alla sua qualità e alle caratteristiche della popolazione alla quale viene rivolto. Nei programmi di “screening” che prevedono la ripetizione del test secondo una sequenza temporale prefissata questa probabilità è diversa da quando si analizza il risultato di un test singolo. Essa dipende infatti dal numero di ripetizioni ed è cumulativa nel tempo. La percentuale di falsi positivi aumenta considerevolmente con l’aumentare del numero di ripetizioni. È possibile ridurre al minimo questo effetto selezionando un test che abbia una più elevata specificità o regolando la frequenza con cui il soggetto viene sottoposto al test. Un esempio pratico è il caso del Pap Test (PAP). Dopo due o tre test risultati negativi, infatti, riproporre l’esame ad un intervallo minore di due o tre anni rischia di provocare un aumento della probabilità di un risultato falso positivo. Le conseguenze di questo effetto statistico vanno quindi prese in considerazione e affrontate insieme alle pazienti. (18)
COSA SUCCEDE QUANDO SI REALIZZANO ESAMI DI SCREENING ECCESSIVI?
Overdiagnosi ed effetto sulla sopravvivenza a 5 anni
La parola “cancro” definisce in realtà un concetto patologico piuttosto complesso ed eterogeneo rispetto al senso comune con la quale viene usata. Essa comprende entità che evolvono verso la fatalità, processi indolenti che non causano alcun danno durante la vita e lesioni che tendono a regredire. (19.20). Quando la patologia tumorale evolve rapidamente lo screening è inefficace, mentre quando per sue caratteristiche di indolenza non si manifesterebbe, la sua identificazione è fonte di danno da overdiagnosi e trattamenti non necessari (21). Nella casistica vengono incorporati anche i dati di persone alle quali la malattia viene identificata negli stadi molto iniziali, che aumenta il numero dei sopravvissuti a 5 anni provocando una sovrastima di questo indicatore. Non è possibile sapere quante di queste persone avrebbero sviluppato una sintomatologia nella evoluzione della loro malattia e non è nemmeno possibile sapere quanti siano stati overdiagnosticati. Anche se il trattamento risultasse inefficace, in questi casi comunque aumenterebbe la sopravvivenza a 5 anni, il che rafforzerebbe gli argomenti a favore dello screening (22). Questo effetto si verifica nelle campagne per il tumore del seno, della tiroide, della pelle e della prostata dove l’incidenza è aumentata ma non si è verificato un reale cambiamento nella mortalità (23-24).
Bias nel valore predittivo positivo di un test
Un altro bias nell’interpretazione dei vantaggi offerti dagli ‘screening’ è l’effetto che si verifica sulla sensibilità dello studio utilizzato: la sovradiagnosi ne aumenta la sensibilità facendo falsamente aumentare il valore predittivo positivo.
Rischio relativo rispetto al rischio assoluto
Quando si comunicano informazioni in merito ai benefici o agli effetti di una attività preventiva di massa in una singola popolazione di solito lo si fa attraverso i dati del rischio relativo anziché quelli del rischio assoluto. L’esempio seguente illustra la situazione in modo più chiaro: per un uomo di 55 anni la diminuzione del rischio relativo sottoponendosi allo screening per il cancro del colon è del 18%. La riduzione del rischio assoluto (probabilità che si verifichi un evento), tuttavia, è solo dello 0,014%. Nel discutere i rischi e i benefici di questo screening con i pazienti si può argomentare che la probabilità di non morire di cancro colorettale sia del 99,34% per la popolazione screenata e del 99,20% in quella non sottoposta allo screening. Come mostrato, nell’analisi dei valori assoluti la differenza è minima invece guardando ai valori relativi sembra imponente (25,26).
Falsi positivi
L’analisi dell’effetto dei falsi positivi meriterebbe un capitolo a parte. Esiste molta bibliografia in merito a situazioni avverse derivate dai falsi positivi. Per esempio nel caso dello “screening” per il cancro del colon, la ricerca del sangue occulto nelle feci, la sensibilità e la specificità di questa prova possono venire alterate dall’assunzione di acido acetilsalicilico (27).
COME ANDARE AVANTI/COME PROSEGUIRE. LA SCALA UMANA DELLA PREVENZIONE
L’eccesso di ‘screening’ dipende della pianificazione, dalla promozione e dall’attuazione di programmi di prevenzione verticale che rispondono a una modalità di approccio sanitario centrato sulla malattia. Attraverso questo approccio riduzionista si pretende di raggiungere la salute collettiva attraverso la gestione del rischio individuale. Così considerate, le attività sanitarie, diventano un modo arrogante di imporre un modello (28). Questo modo di procedere nelle relazioni di potere tra gli attori del sistema sanitario è caratteristico del modello medico egemonico descritto da Menéndez (29). L’autore considera gli aspetti economici, politici, istituzionali e ideologici per concettualizzare e definire il modello medico egemonico nel modo seguente:
“le principali caratteristiche strutturali del modello medico sono il suo biologismo, individualismo, astoricismo, asocialità, mercantilismo e efficienza pragmatica e mentre questi tratti possono essere scorti nella medicina praticata prima del XIX secolo, durante questo secolo si approfondiscono e perfezionano, per diventare le caratteristiche dominanti della biomedicina. È importante sottolineare che il biologismo si articola nell’interezza delle caratteristiche presentate e consente l’esclusione di condizioni sociali ed economiche nella spiegazione della causalità e sviluppo della malattia. Il biologismo è quello che ci permette di proporre una storia naturale della malattia in cui la storia sociale della sofferenza è esclusa o convertita in variabili bio-ecologiche (29).
Questo modello imperante fornisce un ‘framework’ in cui sono sviluppate condotte funzionali ad un modello di salute mercificato. Questo modello è governato dalle leggi del consumo e suscettibile (o sensibile) a molteplici dinamiche derivanti dal mercato, dall’industria, dai professionisti sanitari e dai “consumatori”.
Il livello relazionale: la chiave per evitare l’overscreening e gli eccessi di screening
Cercare di evitare l’‘overscreening’ ed i danni che esso può comportare, richiede azioni complesse a vari livelli.
Il farlo si baserà sulle azioni nella dimensione relazionale del binomio medico-paziente/paziente-medico. Si chiama livello micro dell’approccio di prevenzione quaternaria (30). In questo scenario interpersonale si gioca l’applicazione dell’etica nella pratica medica a misura d’uomo.
Evitare gli eccessi di screening richiede raccomandazioni e linee guida comuni da applicare alla pratica clinica, con casi particolari. Il ruolo di Medici di Famiglia e di Comunità implica il farsi carico di una lunga lista di attività che si estende ben oltre la realizzazione di programmi massicci per lo ‘screening’ delle malattie. L’interazione assertiva è fondamentale e richiede competenze professionali per tentare di accedere a una conoscenza completa di ogni individuo nel suo contesto. Questo sforzo permetterà di tenere conto della peculiarità e originalità umana. Solo in questo modo, ci sarà un approccio rispettoso verso l’altro, col riconoscimento delle differenze, accettando l’asimmetria e comprendendo il valore intrinseco della diversità. Così i Medici di Famiglia e di Comunità saranno abilitati a realizzare responsabilmente quanto proposto dalle raccomandazioni. Questo modo impegnativo e interattivo di procedere considera le preferenze individuali, incoraggia il ‘feedback’, per concordare un piano individualizzato da seguire. La prevenzione quaternaria, che trae le sue origini dalla medicina centrata sulla persona, permette di considerare le credenze, le preoccupazioni, le singole opzioni specifiche e particolari di ogni individuo, rendendo possibile una dimensione umana della prevenzione.
La Prevenzione Quaternaria incentiva la partecipazione di ogni individuo al processo decisionale (shared decision making) in merito alla salute, tenendo conto della situazione, delle competenze e delle caratteristiche di ciascuno, nel rispetto dei principi etici di autonomia e non maleficenza (primum non nocere)
Incorporare la visione della prevenzione quaternaria nella pratica medica permette di:
· riorientare l’approccio preventivo da un asse cronologico ad un asse relazionale
· muovere da un modello preventivo centrato sulla malattia ad uno centrato sulla persona
· applicare attraverso questa prospettiva una organizzazione della pratica tale da responsabilizzare ogni attore del processo di cura
Miguel Pizzanelli Báez
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Nota dell’autore originale Miguel Pizzanelli Báez, che autorizza la traduzione e la diffusione del testo: “To the memory of my father who passed away. He did an important effort to translate this paper to the language of his father.”